Tra le attività che il coronavirus non può e non deve fermare ci sono quelle legate all’accoglienza dei rifugiati e richiedenti asilo. Ed infatti è rimasto in funzione il Siproimi gestito a Rieti dalla Caritas diocesana. A livello territoriale, infatti, grazie al supporto delle realtà del terzo settore, gli enti locali riescono a garantire interventi di accoglienza integrata che superano la sola distribuzione di vitto e alloggio, prevedendo in modo complementare anche misure di informazione, accompagnamento, assistenza e orientamento, attraverso la costruzione di percorsi individuali di inserimento socio-economico. A spiegare come la struttura sta funzionando in questi tempi difficili è Antonella Liorni, responsabile del servizio, dalla sua quarantena forzata dalla zona rossa di Contigliano. Normalmente le diverse attività si svolgono nei locali di via Sant’Agnese, ma in questo periodo sono ovviamente sospese tutte le azioni di orientamento che richiedono una presenza fisica o spostamenti da parte delle persone.
Si lavora in teleconferenza
Si procede dunque approfittando delle risorse telematiche: una modalità che sta a poco a poco diventando familiare anche ai più refrattari. E un po’ come i bambini e i ragazzi delle nostre scuole, anche i beneficiari del progetto di accoglienza e hanno velocemente preso confidenza con le lezioni a distanza, come quelle per imparare la lingua italiana. «Gli assistiti – dice Antonella – seguono le lezioni della nostra insegnante grazie a software come Skype e Zoom, e si fa lo stesso ogni volta che questa strategia riesce efficace».
Corsi di lingua ma non solo
Non ci sono infatti solo i corsi di lingua di cultura italiana. Spesso sono necessari percorsi di accoglienza ed educazione più complessi, che devono tener conto anche delle origini e della mentalità di chi arriva per facilitare il più possibile l’integrazione in fatto di costumi, approcci e stili di vita.
Senza contare l’altra funzione del sistema di accoglienza, che è quello di fornire assistenza psicologica e umana dei beneficiari, persone che nella maggior parte dei casi hanno un vissuto assai problematico. E anche qui tornano utili le videochiamate: pur restando a distanza si ascoltano le storie e i bisogni, si curano le ferite dell’anima e a volte anche i dolori del corpo, perché resta garantita per tutti l’assistenza sanitaria.
Lontani, ma coordinati
«Data la situazione, si svolge in teleconferenza anche l’attività dell’ufficio, compresa la settimanale riunione di coordinamento – aggiunge Antonella – e si cerca di supplire in ogni modo alle attività di sportello». Perché per quanto flessibili, con gli strumenti della videochiamata non si può risolvere tutto.
L’accoglienza dei migranti e il percorso di integrazione richiedono spesso attività semplici e pratiche, importanti anche se si tende a darle per scontate. Ma chi viene da un altro Paese, oltre all’ostacolo della lingua incontra molte altre difficoltà che attengono alla vita quotidiana: sottoscrivere un contratto di affitto o per la fornitura di un servizio, comprendere i propri diritti e doveri in un rapporto di lavoro, aprire un conto corrente in banca o alle poste, rinnovare il permesso di soggiorno o chiedere un ricongiungimento familiare. Nell’impossibilità di muoversi, si cerca rimediare a queste necessità con altri strumenti, soprattutto con il telefono. Facendo uno sforzo importante, perché a bussare alla porta non sono solo i beneficiari attuali, ma anche le persone uscite dal percorso di protezione che ancora non riescono a condurre una vita pienamente autonoma.
Un modo tranquillo di affrontare l’emergenza
Un universo complesso di uomini e donne che come tutti rispettano le indicazioni sanitarie per evitare di diffondere il contagio. «I primi tempi ci stupivamo quasi della cura con cui i nostri assistiti seguivano le indicazioni del Governo e anche della loro tranquillità di fronte a questo pericolo invisibile», ci confida Liorni. «Il fatto è che in diversi Paesi di provenienza le epidemie non sono rare come dalle nostre parti» e dunque una qualche abitudine ad accettare le indicazioni di prevenzione può essere un dato acquisito.
E poi, di fronte a certi vissuti drammatici e ai “viaggi della speranza” compiuti attraversando l’Africa per riuscire infine a sbarcare sulle coste italiane, starsene chiusi al sicuro, in casa, indossare qualche mascherina e prestare più attenzione del solito a quello che si fa non è poi così male.