Sala Calasanzio gremita, venerdì 9 maggio, per l’incontro interreligioso e interculturale voluto dall’Ufficio Migrantes della Diocesi di Rieti, diretto da suor Luisella Maino, e dai referenti del
progetto Sprar gestito dalla Caritas diocesana.
A tenere la relazione di questo primo incontro è stato il vescovo Domenico, che si è soffermato sin dal principio del suo intervento sulla diffusa “paura dell’altro”, confermata anche da recenti fatti di cronaca.
Identità deboli generano paura
Secondo mons Pompili, ciò avviene «quando siamo in presenza di una identità debole, che facilita il cortocircuito per cui l’altro diventa un nemico e anche lo spazio fisico finisce per essere un oggetto del contendere». Un cortocircuito al quale è necessario sottrarsi, fuggendo allo spavento di ciò che è diverso dalla nostra cultura, ma non per questo fonte di pericolo o di minaccia. «Il cristianesimo e le altre religioni – ha aggiunto monsignor Pompili – devono poter riscoprire il sentimento di sentirsi stranieri ovunque proprio in ragione della propria visione escatologica. Chi crede e sa di essere atteso da Dio ritiene che questa attuale non sia la dimensione definitiva, vive sempre come straniero, ogni patria è provvisoria e in nessuna condizione storica può fissare le sue tende».
Al pomeriggio formativo, volto all’abbattimento di barriere e pregiudizi, hanno partecipato i rappresentanti di altre religioni e tanti fedeli di credo diverso. «Dobbiamo lavorarci su ed interrogarci – ha detto suor Luisella Maino – perché anche nella nostra città esistono tanti luoghi comuni e barriere che occorre superare attraverso la fraternità, la civiltà e la sensibilità di ognuno».
Fare leva sulla fede per interpretare il mondo
L’iniziativa che prosegue sulla linea dell’esperienza della preghiera interreligiosa iniziata nel giugno scorso in piazza San Francesco, e che quest’anno verrà certamente ripetuta, «perché ci sono tante cose in comune tra le diverse religioni anzi sono più le similitudini che le differenze», dice Antonella Liorni, responsabile dello Sprar Caritas.
«Tra i più giovani – ha proseguito il vescovo – Dio è destituito di fondamento, una condizione mortifera per l’esperienza spirituale che nasce da un uso strumentale della religione, che nulla ha a che vedere con la fede. Allora in questa nostra città dobbiamo saper dare prova della nostra fede attraverso un modo di interpretare lo stare al mondo, diverso dal trend che vede nell’altro un nemico».