La nuova ondata di attività sismiche non ferma l’impegno della Caritas nelle zone terremotate. Ad Amatrice resta operativa la tenda collocata nell’area dell’Istituto Don Minozzi. Un punto di riferimento per quanti restano nel paese nonostante tutto, ma anche un’esperienza di volontariato dal forte sapore umano ed educativo
Denise e Martino vengono da Vicenza. Fanno parte di “Operazione Mato Grosso”, un movimento che attraverso il lavoro gratuito per i più poveri offre a giovani e ragazzi la possibilità di numerose esperienze formative. E grazie a Caritas si sono ritrovati ad Amatrice, nella tenda che rifornisce di tutto quanti sono rimasti nel centro colpito dal terremoto.
«Avevamo il desiderio di venire a dare una mano – spiegano – e di fare un’esperienza». Per loro il primo impatto con Amatrice è stato forte: «Le prime volte che abbiamo parlato con le persone del posto non sapevamo cosa dire», spiega Denise: «Non avendo mai vissuto un’esperienza del genere, si può solo ascoltare, lasciar parlare».
Poi si prende confidenza con il contesto, anche se non si riesce a costruire l’abitudine: «C’è sempre qualcosa che non ti aspetti. Si vive sempre con la paura della scossa. Non è finita: appena si muove la terra senti la paura delle persone, c’è il terrore di chi ha perso tutto: i propri cari, la propria casa. È bruttissimo sia che adesso debbano vivere in una roulotte, o in una tenda, sia che siano stati spostati da un’altra parte, negli alberghi».
«Ma stupisce la gentilezza di queste persone – aggiunge Martino – ho fatto un giro per le famiglie e sono stato accolto anche se non mi conoscevano. Mi hanno parlato dei loro problemi». «Ci occupiamo di questo punto di distribuzione – aggiunge Martino – qui la gente viene e prende le cose che gli servono: i viveri, i detersivi, tutto quello che manca. Qui intorno non ci sono più supermercati. Anche le persone anziane dovrebbero fare parecchi chilometri prima di poter fare acquisti».
«Noi abbiamo trovato qualcosa da fare: vuol dire – spiegano i due ragazzi – che qualcosa da fare c’è. Vuol dire che un aiuto è sempre possibile ». L’importante «è non venire pensando di poter salvare le persone: ci vuole un profilo basso, tanta umiltà, bisogna rendersi conto dei limiti. Siamo persone identiche a loro. Solo, non abbiamo avuto la stessa sfortuna. Ci limitiamo ad ascoltare, la gente vuole essere ascoltata».